Autofocus a contrasto e a rilevamento di fase: facciamo chiarezza

L’autofocus sta entrando anche nel mondo video con mirrorless e reflex: sempre più macchine di questo genere hanno un AF prestante, e nelle recensioni è sempre più facile trovare valutazioni sulla messa a fuoco automatica. Ma perché alcune macchine funzionano meglio e alcune peggio, da questo punto di vista?

Sta tutto in una grossa differenza che riguarda i due metodi principali per la messa a fuoco: la messa a fuoco a contrasto e la messa a fuoco a rilevamento di fase. Anzi, ce n’è pure un terzo che combina il meglio di questi due sistemi AF: l’autofocus ibrido usato da alcune tra le migliori mirrorless.

 

Autofocus a contrasto

L’autofocus a contrasto è quello usato da piccole compatte, in modalità liveview dalle reflex e dalle mirrorless di fascia media e bassa.

È un metodo di messa a fuoco molto preciso, ma che è anche lento e non molto efficace in modalità video. La spiegazione di questa affermazione sta nel modo in cui l’AF a contrasto funziona.

In pratica è così: impostiamo sulla macchina un punto di messa a fuoco, e in questo modo “chiediamo” alla macchina stessa di trovare il posizionamento delle lenti che permetta di raggiungere il massimo contrasto possibile per quel punto.

La macchina comincia a fare delle misurazioni del contrasto spostando le lenti avanti e indietro e comparando i risultati della comparazione.

Il problema è che una macchina che usa l’AF a contrasto non sa come deve muoversi: il punto di messa a fuoco più preciso potrebbe essere davanti o indietro rispetto a quello in cui si trova, e quindi le misurazioni devono essere molte e in due direzioni.

In pratica succede che la macchina sposta il fuoco avanti e indietro fino ad approssimarsi sempre di più al corretto punto di messa a fuoco, e questo comporta un fastidioso effetto di oscillazione del fuoco. Quello che vediamo è una cosa molto simile a quella esemplificata in questo video di Sony (bravi!):

La messa a fuoco oscilla avanti e indietro, e non è proprio un bel vedere, anzi è praticamente inaccettabile quando si fanno video: siamo abituati infatti a transizioni del fuoco graduali e che vanno solo nella direzione della messa a fuoco precisa, ed è per questo che interviene un altro metodo di messa a fuoco.

Autofocus a rilevamento di fase

L’autofocus a rilevamento di fase è più rapido, sufficientemente preciso e soprattutto “sa quello che fa”.
Ovviamente questa è una piccola semplificazione che usiamo per spiegare facilmente, ma è un concetto importante: l’AF a rilevamento di fase funziona in un modo che permette alla macchina di sapere in che direzione deve spostare le lenti per approssimarsi sempre più al punto di messa a fuoco preciso.

L’AF a rilevamento di fase si trova sulle DSLR, di base perché deve usare lo specchio per funzionare (ed è anche per questo che l’autofocus funziona bene sulle reflex quando lo specchio può stare in posizione, e molto meno bene quando lo specchio è alzato, ad esempio in modalità live-view).

Autofocus a rilevamento di fase su reflex

I componenti dell’AF a rilevamento di fase su una DSLR

Il meccanismo dell’AF a rilevamento di fase è complesso, ma possiamo dire semplicemente che funziona un po’ come i vecchi telemetri.
Grazie alla presenza di due sensori accoppiati su ciascun punto di messa a fuoco, la macchina è in grado di capire se le due immagini dello stesso soggetto rilevate dai due sensori sono sovrapposte, se sono troppo vicine o se sono troppo lontane. In questo modo comunica al motore dell’obiettivo come deve spostare le lenti, per raggiungere la perfetta messa a fuoco.

Prendiamo di nuovo un video da Sony (ri-bravi!) e vediamo un po’ il movimento tipico di un AF a rilevamento di fase.

 

In questo caso non c’è tentennamento, la messa a fuoco va nella direzione giusta, non c’è oscillazione avanti-indietro. Questo va bene in caso di video, soprattutto se c’è la possibilità di regolare la velocità di messa a fuoco.

In alcuni sistemi – il primo che ci viene in mente è quello di Canon montato sulla 5D Mark IV, molto efficace – c’è infatti la possibilità di decidere quanto deve essere veloce la messa a fuoco. In questo modo si hanno transizioni fluide, e probabilmente il processore ha anche un po’ più di tempo per calcolare lo spostamento e riesce ad essere più preciso e meno stressato (questa è solo un’ipotesi, però!).

 

L’autofocus ibrido

A complicare le cose c’è un terzo tipo di AF, quello ibrido. Un autofocus introdotto con le mirrorless (in particolare la Sony a6000 – leggetevi il link per conoscerla – è stata una delle prime a proporre questo sistema) per superare il problema della mancanza dello specchio su queste camere.
Ovviamente per queste fotocamere non era possibile l’uso dell’AF a rilevamento di fase per motivi fisici.

Per farla semplice, l’autofocus ibrido usa sia il rilevamento di fase che il contrasto, permettendo di ottenere il meglio dei due mondi:
-rapidità di messa a fuoco, dal rilevamento di fase
-regolazioni fini, grazie all’AF a contrasto

Ad entrare in azione per primo è l’AF a rilevamento di fase, che permette di arrivare molto vicini al punto di messa a fuoco preciso, e poi entra in gioco la misurazione del contrasto per i microaggiustamenti.

Il Dual Pixel AF di Canon

A complicare le cose ulteriormente ci pensa Canon, ma è una complicazione benvenuta. Il suo Dual Pixel AF è una tecnologia molto interessante che dà risultati davvero eccellenti in termini di messa a fuoco automatica.

Tutto funziona a livello di pixel: in sostanza i fotodiodi che compongono il sensore della macchina vengono modificati per diventare sia elementi che catturano la luce nelle sue componenti RGB (rosso, verde e blu) sia minuscoli sensori per il rilevamento di fase. In questo modo ciascun fotodiodo può diventare un punto per il rilevamento di fase.

Sensore con Dual Pixel Canon

Rappresentazione grafica del Dual Pixel Canon: in basso la sezione del pixel divisa in due, che permette il rilevamento di fase

La cosa è complicata a livello ingegneristico, ed ha un suo costo di produzione: questa caratteristica è infatti stata introdotta prima su macchine semipro come la 70D (e la Canon C300 e C100) e poi anche su mirrorless come la Canon M5 ed M6.

Inoltre questa tecnica comporta la classica “coperta corta”: o si aumentano enormemente i costi, per assicurare una copertura molto ampia del sensore con questa tecnologia, oppure ci si deve accontentare di coprire solo l’80% del sensore.

E a complicare ancora di più le cose c’è il fatto che l’implementazione del 4K in questo tipo di sensore, così come dei profili Log, è altrettanto costosa.
Tra le reflex di Canon solo la 5D Mark IV ha il C-Log, per ora, ed è a pagamento.

 

 

L’area di messa a fuoco

Prima di chiudere il nostro discorso sull’AF (ripetendovi come sempre che l’AF non è così importante, e che si può amare la messa a fuoco manuale) vorremmo mettere l’accento su un aspetto interessante, quello dell’area di messa a fuoco.

È un concetto banale, ma molto importante, ed è una bella differenziazione tra i due sistemi principali di messa a fuoco passiva.

Brevemente: l’AF a contrasto copre aree più ampie del sensore, in genere, e quindi funziona su tutta la superficie della ripresa.
L’AF a rilevamento, invece, copre parti del sensore e quindi funziona solo nella zona centrale dell’immagine.

Quando scegliete una macchina e siete molto interessati all’AF, fatelo considerando anche questa caratteristica. Ad esempio, la Sony a9 copre con i sensori dell’AF a rilevamento di fase il 93% del sensore fotografico usando 693 punti per il rilevamento, mentre la Sony a6000 di cui parlavamo sopra usa 179 punti su un’area più ristretta e per forza di cose meno popolata di sensori per l’AF. Naturalmente anche i prezzi sono praticamente in proporzione, ma questo è un altro discorso.

 

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